Rumiz non è nuovo a viaggi leggendari: come quando attraversò l’Europa in bicicletta, da Trieste ad Istanbul, oppure quando percorse l’enorme punto interrogativo al contrario che rappresenta l’ossatura d’Italia, ottomila chilometri per raccontare le Alpi e gli Appennini.
Questa volta l’autore traccia una via d’acqua: anzi, la via d’acqua, il Po, il Grande Monosillabo, come lui lo chiama, da Staffarda ai piedi del Monviso fino a Chioggia, alla foce, anzi, ad una delle mille foci. Con mezzi di trasporto diversi a seconda della geografia e quindi delle caratteristiche del corso d’acqua: Prospector prima, Old Town Ranger poi, e infine pignatta. E con compagni di viaggio che di volta in volta si avvicendano: c’è chi arriva (Paolo, del quale Rumiz scrive “In quella sinfonia, il compassato Paolo diventava un’altra persona: tracimava di felicità, viveva il ‘qui ed ora’ col fatalismo gioioso di un’iniziazione”) e chi, a malincuore, abbandona l’equipaggio (Valentina, “instancabile ricercatrice di montagne e guai”, che “sa di cercatori d’oro, dialoga con gli ultimi barcaioli, e cerca fiori nelle lande più desolate”).
Un viaggio lento, di esplorazione, denuncia, scoperta, poesia, abbandono, lungo il fiume che noi italiani dovremmo valorizzare e venerare, come una dea madre, e che invece è diventato una risorsa nel senso più biecamente utilitaristico del termine, da depredare di acqua, rena ed energia, e un immondezzaio, dove sversare ogni schifezza immaginabile: “Disse del fiume una cosa struggente -scrive Rumiz, riferendo le parole di un compagno di viaggio-: la sua capacità illimitata di farsi carico, come il Cristo, di tutte le nostre immondizie, colpe, stoltezze.”
Navigando il lettore entra in un’altra dimensione, fatta di attracchi, sponde, siluri, anacronistici ponti di barche, rumori e silenzi, in un orizzonte inevitabilmente limitato, ma che si apre se solo ci si alza in piedi sulla barca. Andando a caccia di affluenti, visitando i paesi sulle rive (Boretto, per esempio, luogo antico, perché ancora sa cosa sono le burle), mangiando in locande dall’aspetto di catapecchie, collezionando i resoconti dei pescatori, ascoltando il frinire delle cicale e delle stelle nelle notti all’addiaccio, superando le trappole insidiose tese dalle centrali idroelettriche, che dissanguano il fiume. Per sfociare infine nel mar Adriatico: “Uscire da uno spazio chiuso e vedere l’immenso orizzonte. Assistere al mistero di una linea che diventa spazio.”
Il Po di Rumiz è custode maestoso di bellezze e rarità, ma è anche collettore delle bruttezze prodotte dall’uomo. Il libro, attraverso fatti, immagini, incontri racconta anche il rapporto tra l’uomo e la natura: equilibrato fino a quando l’uomo ha avuto timore della natura, conflittuale ed impari da quando l’uomo si è ficcato in testa l’idea di esserne il dominatore. I toni dell’autore in questo oscillano tra la rassegnata denuncia e il desiderio di riscatto, di lotta: “Smettiamola di dire che il fiume è morto e che non c’è più niente da fare. Così forniamo solo la giustificazione a procedere a chi ha tutto l’interesse a manometterlo definitivamente.”
Un’avventura così fuori dall’ordinario non può non coinvolgere: la lettura, inizialmente lenta, faticosa, diventa poi fluente, assume lo stesso ritmo della corrente, il respiro del lettore si fa tutt’uno con il respiro del fiume, che lo guida attraverso paesaggi idilliaci, immagini poetiche e potenti, opinioni scomode, inquietanti visioni. Come la donna in nero, che appare all’autore più volte nel corso del viaggio, collegata in un qualche misterioso modo al titolo del libro, Morimondo. Ecco, il titolo: fino alla fine, rimane il dubbio di non averne afferrato, per lo meno non completamente, il senso.
Rumiz è un viaggiatore narratore poeta, e in ‘Morimondo’ ci trascina con sé alla scoperta del leggendario Grande Monosillabo. Lasciandoci con la fame di un altro viaggio, di un altro racconto.
Erika Lucadamo
Morimondo _ Identikit dell’aspirante lettore
Questo libro è indiscutibilmente per te se:
1) Ti piacciono le storie d’avventura: “Morimondo” è infatti il racconto di un’avventura speciale, anche se (o forse proprio perché) a due passi da casa: “Nel cuore industriale del Nord, vivevamo in uno spazio di avventura totale”.
2) Eri (e forse sei ancora) un bambino assillato dai perché: perché le piene dei nostri giorni sono così numerose e devastanti? perché il Po è invaso dal siluro? perché il proliferare di centrali idroelettriche può non essere necessariamente un bene?
3) Credi che la narrazione possa anche leggenda: un po’ resoconto di viaggio, un po’ visione.
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