Parto dal presupposto che a questo punto della mia carriera di collaborazioni inizio a contarne davvero tante, tantissime direi, ognuna di loro ha una sua storia, è nata in particolari circostanze. Non posso fare a meno di sottolineare, non perché sono ospite di queste sue “pagine virtuali”, che quando un rapporto va al di là della musica – come quello che c’è tra me e Daniele – le collaborazioni diventano quasi suggestive perché quello che ci metti dentro non è solo musica.
Così l’invito di Daniele è stato un po’ come l’arrivo in cima, in cima a una grande intesa, soprattutto umana, ne sono stato felice ma forse non del tutto stupito. Stava realizzando un disco molto particolare, e nella ricerca di qualcosa di “strano” credo che abbia riconosciuto in me il musicista poliedrico che poteva fare al caso suo, Acrobati suona infatti in molti modi diversi nonostante i brani riescano a mantenere un trait d’union fra loro, davvero un lavoro di grande equilibrio, è proprio il caso di dire che mai titolo fu più appropriato.
Ricordo distintamente la mia prima reazione all’ascolto de La guerra del sale, è stato qualcosa tipo: “Wow! Daniele ha fatto veramente un pezzo hard core!”. Perché, che lui sia fuori da ogni accademia è fuor di dubbio, ma questo pezzo suonava davvero hard core, una delle cose che più mi piacciono e non nascondo di essermi – neanche tanto metaforicamente – sfregato le mani, il panorama che mi si dispiegava davanti era oltre ogni più rosea previsione.
Ho approcciato il brano da un punto di vista più ritmico, che è poi il mio modo di operare all’interno degli arrangiamenti e quando ho pensato a come realizzare qualcosa che si legasse al magma sonoro del pezzo ho ritenuto che sperimentare fosse la strada migliore, anche sui suoni stessi: ci sono sovrapposizioni, cluster veri e propri all’interno dei quali faccio scorrere delle note glissate dei tromboni (apro una parentesi per un elogio al talento di Mauro Ottolini che quei tromboni li ha suonati), e poi c’è questa esplosione di melodie, delle quali la principale ha un arrangiamento con delle note al limite della dissonanza tra di loro, che però stanno benissimo perché anche la struttura armonica del pezzo è molto aperta, quasi modale. E poi insomma… “eravamo in tre”! Sapere che a un certo punto avrebbe attaccato Caparezza mi dava la certezza che la chiave da ricercare era quella dell’insolito.
La connessione fra i tre, a vederla, è quella tra persone che si conoscono, che si stanno simpatiche, che si divertono, ma bisogna anche considerare che i tre mondi che si incontrano sono abbastanza diversi tra loro, ognuno ha una propria identità specifica, stare in tre su quel filo teso è stata senza dubbio un’altra bella acrobazia per la quale mi sento di ringraziare sia Daniele che Michele.
MAMMA QUANTE STORIE! Favole in ambulatorio, in treno e in piazza nasce dall’esperimento di Andrea Satta, pediatra di base nella periferia di Roma e cantante dei Têtes de Bois, che da circa sette anni, una volta al mese, organizza ‘la giornata delle favole’, chiedendo alle mamme di tutte le nazionalità di raccontare la fiaba con cui si addormentavano da piccole. Una comunità di quasi mille bambini, molti stranieri, oltre trenta i Paesi di origine, un presidio culturale, un confronto di culture necessario che combatte i pregiudizi e favorisce le relazioni umane.
Un viaggio modernissimo, un libro di favole impreziosito dalle illustrazioni di Sergio Staino e dal fumetto di Fabio Magnasciutti che, seguendo lo stile del graphic novel, narra l’esperimento di Andrea nel suo ambulatorio, anzi nel suo ‘ambu’, come lo chiamano spesso i protagonisti del fumetto.
Il racconto orale e il tempo dell’ascolto sono patrimoni dell’uomo che affondano le loro radici in tutti i Paesi del mondo. L’unica scommessa da vincere, l’unica possibilità è conoscersi, è condividere la cultura degli altri in un reciproco scambio.
Il volume, il cui ricavato andrà a sostegno delle attività della Biblioteca Comunale di Lampedusa, fa parte del progetto Ti Leggo dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, un progetto realizzato seguendo le indicazioni del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per cercare di sviluppare un’efficace diffusione e promozione del libro e della lettura attraverso la realizzazione di una rassegna di iniziative culturali nel territorio nazionale. Il fine è infatti quello di valorizzare tutte le forme della lettura nel loro contesto sociale e nelle loro differenti pratiche di distribuzione e consumo.
Tra le tante bellissime favole di questo libro ne abbiamo scelta una, LA GIRAFFA VANITOSA di Nadia Kadiatou., che vive in Italia dal 1995 ed è originaria del Burkina Faso. Ve la proponiamo qui… sperando che vi invogli a scoprire tutte le altre.
Con Daniele, oggi, c’è un rapporto che va oltre la semplice stima professionale, ma ricordo quando, a Dicembre, mi giunse la telefonata per affidarmi il videoclip per il suo ritorno da solista dopo cinque anni. Quasi non ci credevo. Poco tempo per realizzare il video di uno dei miei artisti preferiti. Uno con cui ho davvero tante “cose in comune” .
Per il video di “Quali Alibi” c’era l’idea, così come succedeva nella canzone, di giocare con le parole. I lirycs video sono una mia specialità, per questo e per il fatto che Daniele si è dimostrato davvero un buon attore, ero abbastanza tranquillo sul fatto che sarebbe venuto fuori un bel lavoro. Un mese dopo esce l’album “Acrobati”.
I ritornelli orecchiabili servono, quando si ascolta una canzone le prime volte, ad appoggiarsi per non perdersi. In questo album, invece, Daniele ci costringe ad essere acrobati. Poche concessioni all’easy listening ma onestà (anche nei suoni degli strumenti) e passione in abbondanza. Una maturità nuova e l’esperienza che gli permette di sapere fin dove può spingerci senza farci cadere. E come funamboli, dopo i primi timorosi passi, cominciamo a godere delle altezze e della vertigine di sensazioni. La canzone che dà il titolo all’album è l’esempio più chiaro di questi concetti.
Un brano lungo, con una struttura che non emerge immediatamente e un testo che esprime un pensiero complesso. Con questi presupposti come è possibile che questa canzone sia anche così leggera e naturale? Questo mi chiedevo mentre cercavo un’ idea per il video di “Acrobati”. Poi, provando a spiegare in una parola ai miei collaboratori quale sarebbe stato il mood del filmato, ho capito e ho detto: “Sospesi”. Questa era la sensazione che avevo ascoltando il brano e che lo rendeva lieve e seducente e questa sarebbe stata la sensazione sulla quale lavorare per il video. Tecnicamente lo abbiamo realizzato grazie ad una fotografia suggestiva dagli sfondi appena percepiti e la cinepresa ondeggiante mai ferma. La luce avrebbe creato un’ atmosfera soffusa e dilatata, nella quale si sarebbero mosse le silhouette degli acrobati. Il montaggio, contrariamente al mio solito ritmo frenetico, sarebbe stato delicato e rilassato. Sulla storia da raccontare Daniele ed io ci siamo subito trovati d’accordo.
Gli acrobati siamo tutti noi quando dobbiamo mantenere l’equilibrio nel prendere una decisione difficile oppure quando dobbiamo andare avanti superando le difficoltà della vita o ancora quando, come giocolieri , gestiamo i mille impegni di ogni giorno.
Mi occupo di “grafica applicata alla musica” dal 1996 e ho avuto l’opportunità di lavorare con artisti noti e meno noti. Lavoro senza dubbio meglio quando tra me e l’artista per cui devo realizzare la copertina c’è stima reciproca. Nel caso di Daniele la mia stima per lui risale al 1995, anno della sua prima apparizione a Sanremo, quando portò sul palco dell’Ariston “L’uomo col megafono”. Con Daniele avevo poi lavorato all’artwork dell’album “Monetine”, raccogliendo circa 400 monete di diversi paesi per riuscire a comporre il suo ritratto. Un lavoro che potrebbe sembrare quasi più tecnico che creativo, ma il risultato ha avuto la sua efficacia ed è riuscito ad interpretare le esigenze commerciali di quella che era una raccolta
Se pensi che adesso io ti spieghi quali sono le motivazioni che mi spingono a riempire una pagina vuota, ti sbagli. Nel mio mondo non esiste la motivazione. Io non sono motivato a fare quello che faccio. In quanto artista avverto un impulso, un’impellenza, sono trascinato da una forza che ha radici profonde in me, una forza così persuasiva che sembra vano cercare di spiegarla. Essa, tuttavia, ha un nome: passione. La passione è la calcina che tiene insieme i miei collage creativi, il motore delle mie azioni. Essendo in movimento perpetuo, possiede una componente di impazienza. Di urgenza. E poiché esorta la mia arte a crescere, è indispensabile. Sospinto da simili venti di passione, per chi creo? Le mie performance sono per me stesso o per il pubblico? La mia risposta si colloca ai due estremi. Quando sono al parco e faccio giocoleria all’interno del mio cerchio di gesso ho bisogno di incuriosire i passanti, altrimenti non si fermeranno. Durante la performance il mio personaggio comico Lippo, che si nutre di folla, osserva gli spettatori, pronto a sfruttare ogni loro minima reazione. E nel momento in cui colgo un accenno di torpore che aleggia tra il pubblico, smetto di giocolare e parto con un coup de theatre che sicuramente sveglierà tutti quanti: suono il fischietto e lego una fune tra due alberi! Allo stesso tempo, se voglio offrire la più sincera delle performance, devo essere completamente solo. Devo essere prigioniero della fortezza della mia arte.